Distanza tra palazzi e finestre

La distanza minima tra edifici, anche se una sola delle due pareti ha finestre, è di dieci metri e il Comune non può prevedere, tramite il regolamento urbanistico,

deroghe a tale limite.

 

Quanta distanza deve esserci tra due palazzi? Quanti metri devono separare le finestre che affacciano su due edifici posti l’uno di fronte all’altro? La risposta è contenuta in una vecchia legge del 1968 sui limiti di spazio tra i fabbricati. Essa a tal fine, prevede in via generale una distanza tra palazzi e finestre di almeno 10 metri. In particolare la norma  prescrive, in tutti i casi, la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

Se tra i due palazzi vi è una strada destinata al traffico dei veicoli (escluse quelle cieche, al servizio di singoli edifici o di insediamenti), le distanze minime tra gli edifici debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

  • 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
  • 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
  • 10,00 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Da tale disposizione si intuisce che, per le nuove costruzioni, la distanza minima di distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è di 10 metri. La distanza minima di dieci metri è richiesta anche nel caso che una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente.

Di recente è intervenuta la Corte Costituzionale  a stabilire che tali limiti di distanza tra palazzi e finestre non possono essere derogati dal piano regolatore locale, salvo vi siano esigenze di «soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio». Perché questa precisazione? Una recente riforma, entrata in vigore nel 2013 , consentirebbe alle Regioni e Province autonome di prevedere, con proprie leggi e regolamenti, «disposizioni derogatorie alla normativa statale». Ma, secondo la Consulta, tale deroga non può riferirsi a uno specifico palazzo, bensì deve riguardare necessariamente una intera zona; difatti la ragione dell’eccezione deve risiedere non nell’interesse singolo, ma del territorio in generale. Dunque la deroga alla normativa statale – che, come detto, fissa in 10 metri la distanza minima tra edifici – si riferisce solo a una «pluralità di edifici oggetto di una unitaria previsione planovolumetrica», non invece in caso di interventi su un singolo edificio. Sono quindi da escludere deroghe ad personam contenute nel regolamento urbanistico del Comune.

n base a queste motivazioni la Corte costituzionale ha più volte dichiarato illegittime le leggi regionali nella parte in cui consentivano ai Comuni, attraverso i propri strumenti urbanistici, di introdurre deroghe alle disciplina statale in materia di distanze tra edifici anche in caso di interventi puntuali e diretti, non inclusi in un piano di attuazione riferito ad un ampio contesto territoriale

La Corte ha sottolineato che, poiché la disciplina delle distanze attiene in via primaria ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi, la stessa rientra nella competenza esclusiva dello Stato, per cui le deroghe devono essere limitate a casi eccezionali. Come infatti chiarito dal Consiglio di Stato , le norme in materia di distanze, dunque, essendo rivolte alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, sono tassative e inderogabili e vincolano i Comuni in sede di formazione degli strumenti urbanistici. Risultato: le distanze minime tra edifici sono ancora inderogabili, almeno quando il titolo abilitativo è riferito a edifici singoli. Pertanto i Regolamenti urbanistici comunali in contrasto con questi limiti sono illegittimi e devono essere annullati o disapplicati, con sostituzione automatica degli stessi con la previsione della legge statale.

 

fonte : https://www.laleggepertutti.it/162926_distanza-tra-palazzi-e-finestre